FarinaM

Sono trascorsi appena 4 giorni dall’evento eppure mi sento ancora immerso dentro quello stato di confusione e intorbidimento con il quale ho tagliato il traguardo domenica a Rimini. La maratona, la mia prima Maratona è conclusa ed ancora, forse, non me ne rendo conto. Molte persone, amici, parenti e con chi condivido questo sport ha iniziato a chiamarmi maratoneta ma personalmente non mi ritengo un maratoneta solo perché ho tagliato il traguardo. Ed allora mi vengono in mente le parole del mio mentore e coach in uno dei suoi ultimi discorsi sulla maratona:

“La gara di Maratona è certamente una grande sfida e la distanza che ci si prepara a correre va sempre rispettata, proprio come si esige per una Regina! La cosa più impegnativa non sono i 42,195 il giorno della gara, ma l'intera preparazione già svolta per arrivare fino a lì. In gara, quando arriveranno, (e se arriveranno), le difficoltà, pensa a tutto il viaggio che hai fatto per essere lì a correre la Gara di Maratona. Pensa a tutti gli allenamenti che hai fatto, alle volte che hai dovuto fare i "salti mortali" per trovare il tempo per correre, al sudore versato e alla soddisfazione di quando sei riuscito a portare a casa l'allenamento più duro che il tuo coach ti aveva dato da fare. Pensa che stai facendo una cosa bella, anzi bellissima! Pensa che il 99% di quello che dovevi fare per arrivare preparato lo hai fatto, non focalizzarti quindi a quel restante 1%! Sarà dura, non sarà una passeggiata, è giusto che ti metta in guardia. Però è questo il suo bello, il fascino della maratona sono le sue variabili difficilmente calcolabili.”

 

Già! Proprio così ed allora ripenso a quando ho fatto questa scelta “folle” di iscrivermi alla maratona. Erano gli ultimi momenti dello scorso anno che mi accingevo a rileggere le leggi di Murphy ed in uno dei suoi compendi pensavo al significato della quarta legge di Hammond che afferma :” Come l’universo, la sfortuna è infinita e tende ad aumentare esponenzialmente con il tempo che passa”. Ma subito dopo al rigo successivo un suo corollario faceva capolino affermando: “Se devi fare una cosa falla subito, perché tra poco il risultato potrebbe peggiorare irrimediabilmente.” Conclusione :”Tutto è in uno stato di disordine assoluto”. (Pessimismo cosmico “murphiano”).

Ed è proprio in questo stato di disordine mentale che mi sono ritrovato a mandare una mail alla mia società di atletica senza neanche sapere a cosa stessi andando incontro. Anche perché in quei giorni ero infortunato e non sapevo ancora quando sarei rientrato in possesso delle mie scarpe per poter riprendere a correre. Ma quella frase del corollario continuava a rimbalzarmi nel cervello come un tarlo sicché alla fine mi son detto: “male che vada non la correrò”. Avevo appena mandato la richiesta per email che mi squilla il telefono, era la chiamata di uno smarrito Angelo Marino, il presidente, che con fare provato e tanta esitazione mi chiedeva se davvero avessi intenzione di correre la maratona o era solo uno scherzo ma alla fine anche lui sarà stato tanto confuso quanto me che in cinque secondi mi ha detto va bene mandiamo il bonifico e ti facciamo l’iscrizione.

Non nascondo che effettivamente sono state settimane molto intense e faticose, ma allo stesso tempo la motivazione e la voglia che ti viene dal preparare una gara così intensa e impegnativa da sola può fare la differenza contro tutte le difficoltà e gli imprevisti che vengono fuori durante due mesi e mezzo circa di duri e pesanti allenamenti. Settimane trascorse a trovare la condizione fisica migliore per correre una maratona senza soffrire, (poi capisci che è impossibile!) e senza avere ripercussioni successivamente. Quante volte mi è capitato di correre un km in più del necessario per permettere al vento di asciugare le lacrime della fatica e quante volte ho cercato di scherzare e ridere pur di nascondere la tensione e l’ansia che con il passare del tempo aumentava inconsciamente senza che neanche me ne accorgessi. Che stress che ho portato a tutti quelli intorno a me, quante agitazioni(!!!). Non poche volte ho avuto la tentazione di mollare o la paura di non farcela in quell’allenamento o in quella gara domenicale selezionata appositamente per rincorrere un determinato e specifico risultato, tutto misurato e commisurato per correre poi gli attesi 42K, la MARATONA, la Regina delle corse. Quel sogno, (o forse incubo?!?!), ricorrente di cui scopri poi che tutta la magia e la bellezza, davvero, non sta nella giornata in cui la corri ma nei momenti vissuti in precedenza pensandola e rincorrendola come ad un obiettivo impossibile. Come quella meta irraggiungibile fino a quando non arriva al giorno prestabilito. E con le settimane scandite dagli allenamenti e ormai un calendario la cui settimana non cominciava più il lunedì, (perché era riposo), ma il martedì che era corsa lenta ma con almeno 13/15 km da svolgere, anche per me il giorno prestabilito è arrivato molto più velocemente di quanto credessi, (il tempo vola e quando corri sembra quasi che acceleri). Domenica mattina la tensione era alle stelle, la gara era alle 9,30 ma già alle 8,20 ero sotto l’arco di partenza, cercavo di smorzare l’ansia e le tensioni scherzando e ridendo ma dentro di me ero preso da una “enorme paura” dettata dal fatto di non sapere a cosa stessi andando incontro.

Neanche il tempo di fare un  po’ di stretching e riscaldamento che mi sono ritrovato a risalire la china in mezzo ad altre duemila persone circa, ed intanto i dubbi e pensieri già cominciavano ad affiorare nella mia mente: “seguo i pacers o corro da solo affrontando tutti i km come fatti in allenamento?” Neanche il tempo di pensarlo che in realtà avevo già fatto la mia scelta, avrei corso senza inseguire i pacers mettendo in pratica ciò che avevo imparato studiando da solo in questa lunga fase di preparazione, del resto “i compiti a casa li avevo fatti tutti”. Talmente ero impaurito nei primi 10,000 metri che neanche facevo caso ai primi due ristori, (ma per fortuna sono riuscito a non saltarli). Neanche il tempo di rendermene conto che ero già al termine della prima mezza maratona. Ci sono passato puntuale come un orologio svizzero ad 1h45 come previsto e provato in allenamento. Le gambe erano ancora fresche e leggere come non mai e nonostante i successivi 7 km siano stati in salita, quasi non li ho avvertiti e continuavano a correre in scioltezza godendomi lo spettacolo lungo il percorso che culminava a Santarcangelo, davanti al castello, laddove lungo due ali di folla che incitavano, senza sosta e applaudivano a tutti, c’è stato il giro di boa che ci faceva poi dirigere di nuovo verso la città riminese. Intanto mentre nella mattinata, alla partenza, la temperatura era stata fresca e generosa nei confronti di noi runners si era fatto circa mezzogiorno,  il contachilometri segnava che ero al 30esimo km e adesso il fresco amico del mattino incominciava a trasformarsi in un caldo afoso e nemico degli ultimi e interminabili lunghissimi 12 km, tutti da farsi sul lungomare riminese che non è che sia famoso  per le sue zone d’ombra. Io ero lì, c’ero ancora! Ero arrivato al muro del 30esimo senza neanche accorgermene, la mia media era come da programma, (4.56 m/km), la gamba spingeva e al 33esimo la mia media scendeva addirittura a 4.55, (continuando così in  proiezione avrei chiuso a circa 3h25 netti), ma la legge di Hammond e il suo corollario erano pronti dietro l’angolo a ricordarmi da dove venivo. Lo sapevo che gli imprevisti sarebbe stati puntuali e implacabili. Amara sorpresa al km 35esimo quando afferrando l’acqua ho scoperto che  era frizzante e così non sono riuscito a bere, (odio l’acqua frizzante), e ho dovuto attendere lo spugnaggio successivo, (circa 2,5 km), per rinfrescarmi da quel calore e quel sole che oramai erano diventati i nemici numeri uno di tutti noi runners in gara. Non c’era più ossigeno nell’aria e non c’era ombra per ripararsi durante la corsa, ero arrivato al 37esimo e mancavano ancora 500 metri per lo spugnaggio, che ormai era un lontano miraggio ma in realtà, senza accorgemene, incominciavo a perdere contatto con la realtà e ad entrare in un mondo mistico dove non vedevo niente altro che il traguardo finale. Tutte le certezze acquisite cominciavano a crollare insieme alle gambe che non erano più ne tanto fresche e neanche tanto agili e l’unica cosa che le muoveva era la mia forza estrinseca che ad un certo punto volendo essere gentile e non volendo prendere il sopravvento su quella intrinseca, ha deciso di equilibrarsi alla stessa e così le due si sono unite in un perfetto e magico equilibrio e con la forza d’inerzia generata da questo nascente equilibrio dinamico ho raggiunto il 40esimo km. Altro suono di campanella e altro ristoro, altra fregatura, di nuovo l’acqua frizzante ma questa volta ho avuto la forza di tornare dieci metri indietro restituire la frizzante e strappare l’acqua naturale dalle mani di un volontario, (mi perdoni dovunque sia ma non si può scherzare con la gente al 40esimo km di una maratona, neanche con i più buoni). Ormai era fatta mi veniva da pensare ma in quegli interminabili ultimi 2km e 195 metri nonostante fossi mentalmente in un mondo parallelo ho visto persone che si fermavamo per crampi, mal di stomaco, stanchezza, dolori etc etc; nel frattempo la mia inerzia, quell’equilibrio, che  mi aveva aiutato fino al 40esimo anch’essa cominciava ad abbandonarmi ed allora lì in quel momento ho ripensato a tutti gli sforzi fatti nelle settimane precedenti, tutte le lotte contro il tempo fatte per scendere a correre, tutte le lacrime versate nei lunghissimi da 35 e l’ultimo 37 fatto coi crampi. Piangevo e correvo, stavolta non era sudore a scendere dalla fronte ma erano lacrime di gioia, l’ansia si era sciolta e aveva lasciato spazio alla gioia; in lontananza vedevo il traguardo e non era più il miraggio del 37esimo ma quello vero, l’arco reale che di lì a poco avrei attraversato e avrei potuto abbracciare di nuovo il mio fan club, (moglie, figlio e Pietro, lui che nei momenti importanti non manca mai), che era lì ad aspettarmi con ansia e trepidazione sin dalla partenza.  Avrei rivisto di nuovo mio figlio che forse più di tutti, (e anche più di me), quella mattina sentiva la mia ansia scorrere anche nelle sue vene tant’è vero che ho saputo dopo, che ad ogni persona che vedeva arrivare al traguardo chiedeva a tutti quando sarei arrivato io e che in chiesa aveva scritto su un foglietto :” Ciao Madonna, voglio che papà vince la medaglie e stia bene”.

Jesse Owens diceva: “Non importa cosa trovi alla fine di una corsa, l'importante è quello che provi mentre stai correndo. Il miracolo non è essere giunto al traguardo, ma aver avuto il coraggio di partire”. Forse aveva ragione, forse no, perché è vero che ci vuole coraggio nel partire e lasciare il porto sicuro ma ci vuole anche tanta tenacia e forza di volontà per arrivare al traguardo ed io alla fine della gara ho trovato non il traguardo ma la mia famiglia, i miei amici e al “traguardo virtuale” anche tutti quelli con i quali in questi settimane ho condiviso il pensiero e l’idea di correre la mia prima maratona. Tutti a dimostrami la loro vicinanza e la loro stima e a tutti loro va il mio grazie di essermi stati vicino e di avermi supportato e sopportato in questa bellissima esperienza che è stata la mia prima MARATONA.

 


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